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Sulla ripresa il boomerang protezionismo

di Roberto Capezzuoli

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Martedí 24 Febbraio 2009

Gli anni dell'espansione, per i consumi e i prezzi dei metalli, sembrano essersi volatilizzati senza lasciare traccia. Eppure tra il 2002 e l'estate del 2008 si è consumato un ciclo positivo così importante da far pensare che potesse prolungarsi ancora, almeno fino a quando gli investimenti necessari per aumentare la produzione di metalli e semilavorati avrebbero spostato stabilmente la lancetta del bilancio domanda/offerta nel quadrante che denuncia le situazioni di eccedenza.
Il risveglio è stato traumatico. Lo spettro della crisi finanziaria aleggiava da tempo, cavalcando lo spauracchio dei mutui subprime, ma nessuno, in agosto, pensava che il tracollo avrebbe travolto in due mesi così tanti istituti finanziari di prima grandezza, con ricadute pesanti: le Borse in picchiata, gli interventi speculativi bruscamente assottigliati, la fiducia dei consumatori azzerata, il credito inavvicinabile.
La botta non è stata di quelle facili da dimenticare, anche se già adesso qualche segnale di rilancio affiora tra le cifre del disastro. La domanda chiave riguarda l'industria manifatturiera e la durata della sua caduta. Secondo i segnali emessi dal Purchasing managers index, il recupero è già ai blocchi di partenza, corroborato da un'economia cinese che non ha alcuna intenzione di macchiare il Nuovo anno lunare con un naufragio. La strada però è accidentata. Il sincronismo della retromarcia innestata nei mesi scorsi ha lasciato pochi salvagenti su cui galleggiare. La discesa infatti non ha risparmiato nessuna delle possibili locomotive, dalla Germania agli Usa, dal Giappone alla stessa Cina, come d'altra parte era logico attendersi in un mondo convertito alla globalizzazione. Nel caso dell'acciaio e dei metalli non ferrosi, il colpo è stato duro. Il cuore del problema, secondo l'Institute for Supply Management americano, è nei settori dell'auto e dell'edilizia. Senza un loro recupero, la ripresa sarebbe zoppa. Ma al momento ciò appare tutt'altro che facile, come dimostra il tracollo dei conti di Toyota.
Le speranze si sono quindi concentrate sulla inevitabile parola magica, targata Usa: stimulus. Un impulso, quindi, dotato di un ricco portafoglio, per dare ossigeno ai consumi, per evitare il credit crunch e per preservare posti di lavoro. Gli stanziamenti, è noto, sono multimiliardari. Noti, a grandi linee, sono anche gli obiettivi. In gestazione, e quindi meno evidenti, sono i meccanismi, che dovranno essere messi alla prova sul campo.
Qui, i primi timori si sono già materializzati da qualche settimana. Anche in questo caso, con uno slogan Usa: Buy American, recentemente rivisto in una forma più addolcita, anche se ma non abbastanza da eliminarne le ambiguità che potranno accompagnarne l'attuazione. Il protezionismo è un comprensibile miraggio, quando si temono problemi sociali legati alla disoccupazione crescente. Ma aggiungerebbe un severo handicap sulla via del recupero.
Eurofer, che raggruppa le imprese siderurgiche europee, è stato uno dei primi enti a protestare per un'ipotesi così lontana dal libero mercato e dalle regole della World Trade Organization. Gordon Moffat, il suo direttore generale, ha tutte le ragioni per essere preoccupato. I 27 Paesi dell'Unione europea nel 2008 hanno prodotto circa 200 milioni di tonnellate di acciaio, il 15% del totale mondiale, ma Eurofer teme che il calo produttivo del primo semestre si aggirerà intorno al 10%. Ancora peggiore è la stima sui consumi interni: la previsione europea parla di un calo del 29% nel primo trimestre e del 23% nel secondo.
Un quadro nel quale Buy American si potrebbe insinuare come elemento devastante, perché India, Cina, Ucraina, Russia e Turchia sono tra i Paesi che non hanno firmato con gli Stati Uniti il Governement Procurement Agreement. Come a dire che le loro acciaierie e le loro imprese metallurgiche in genere rischiano di non poter fornire le materie prime ai progetti pubblici americani, lanciati grazie allo "stimolo", e di farlo con difficoltà anche sul resto del mercato, dato che le aziende siderurgiche americane - tra cui Us Steel Corp., Nucor Corp. e Ak Steel Holding Corp - stanno chiedendo misure contro le importazioni di acciaio straniero, in particolare proveniente dalle aziende cinesi accusate di dumping.
Lo stesso segretario generale della China Iron and Steel Association, Shan Shanghua, è ben consapevole della situazione: «Se gli Stati Uniti comprano made in Usa – ha commentato all'inizio di febbraio – e la Cina compra made in China, a cosa si ridurrà l'interscambio mondiale?».

I NUMERI

-24%
Il calo a gennaio
La produzione mondiale dell'acciaio ha accusato a gennaio un calo del 24% a 86 milioni di tonnellate rispetto all'anno prima, ma è in aumento del 4,5% rispetto a quella di dicembre, mese in cui aveva ugualmente registrato una flessione del 25%, grazie a una ripresa del 9,9% della produzione della Cina.
-10%
La diminuzione media
  CONTINUA ...»

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